domenica 27 luglio 2014

Il cantico narrante

Canto primo.
( la fanciullezza )

… ed io fiorivo nel giardino delle rose
di stirpe antica raccolsi gloria.
Fu il primo tempo della vita mia ;
il primo gesto che mi rese uomo .
Andavo via per incontrar fortuna ,
da acri odori e sudori di fatiche ,
col cuore impavido e il volto fiero ;
mostravo a tutti la mia inibizione.
Raccolsi pane al chiaro della luna!
Come nella giungla tra la nebbia e brina ,
stringevo tra le mani la mia madonna bruna ,
muovevo i primi passi verso l‘odissea.
Bevvi del buon vino nell’età dell’oro
e a piedi scalzi m’affamavo di miseria ,
di gaiezza mi nutrivo ,
coglievo il frutto della fame .
Dal nido volai senza ali :
lì ,la prima prova per essere uomo ,
sull’aia ballavo le danze popolari ,
Ballavo la vita ,l a mia ,
sul pianeta terra incominciava .
Di profumi m’inebriavo !
Tutto intorno la bellezza m’assopiva ,
col companatico i sapori ,
mi punsi con le spine senza farmi male .
Fu breve l’infanzia !
Da corsi d’acqua bagnavo le mie vigne ,
aprivo alla mente i primi sogni :
cantavo con i lupi gli inni dei poeti .
Ballavo danze contadine
e conobbi la selva scura ,
su i monti l’avventura .
Salivo così il primo gradino
della mia scala naturale.

Canto secondo.
(viaggio nel regno delle anime)
La giovinezza .

… e mi trovai smarrito in un viaggio senza luce
perso al buio e non mi accorsi che ero solo ,
Oh pietose anime abbiate pietà di me ,
di me che onore infamo ,
di poesia bramo il canto del cuore mio .
 
Datemi voi la forza !
Datemi coraggio per camminare ancora ,
 
datemi scosse di elettrizzanti lampi ,
di questi anni ,della mia giovinezza vera ;
le vere parole che mi furono sincere .
E tu uomo vivi per quel che sei
 
e non ti crucciare ,
non sperare di vedere il cielo
se di sera chiudi gli occhi per dormire ,
io scrivo per orgoglio e taccio
di ogni cosa ,la stagione ha la sua fine
 
il cui tempo fiorì il fiore ,
sfarzoso fu il nefasto regno ;
la nuova era emigrò amori .
E mi rivolgo a voi anime irrequiete
nella vita non si trova pace ,
adagiate il fato e raccogliete venia :
 
raccogliete le messi per dare pane .
Viaggio nel vuoto senza fine ,
lì vado a cercare la mia paura ,
non ne uscirò ne son sicuro
lì l’alba è talmente rara .
Ritorno nel bosco della mente
a vagare senza misura ,
scrivo col mio pensiero ,
 
con la mia penna combatto il male .
Oh Se fossi eterno
pagherei la mia pace ,
in cambio del perdono
 
dal male perverso l’innocenza tremo .
… e mi chiesi:
come verrò da te se paventi noia
 
a calpestare suoli dubbiosi ?
In te io mai fui accolto
mai fui bramato del tuo sesso iniquo ,
Io non volevo alcuna cosa
oltre l’argine del mare …
 
guardai in alto e vidi le tue spalle rosa ,
ti vidi vestita di raggi e danzavi tregua ;
volteggiavi libera nell’abito da sposa …
E fu così che l’anima mia si genuflesse ,
 
al chiarore di quella luce fuggì pietosa ,
si volse indietro a rimirar bellezza ;
nel vagare persi .

Canto terzo
La frivolezza per l‘amata.

Tentai invano di afferrarla ,
 
di cogliere il perduto fiore ,
Ella che ballava luce maestosa ;
dinanzi a me si mostrava aggraziata ,
nell’oro del sole si appannava e scompariva .
Inesorabile si fermò l’ora
 
scandì i suoi rintocchi ,
a sperar cagione
in memoria mi apparve rea .
Furono i nudi spettri a dare aurore a l’alma mia ,
ai dolenti spiriti
 
dispiaciuti per la mia sorte si misero a volare :
alzarono le mani ,
e dagli inferi gridarono alleluia .
 
Vidi coloro che di sangue si eran macchiati !
Li vidi bruciare nelle fiamme dell’inferno .
Ed io urlai più forte il perdono
 
per farmi sentire dall’eterno padre :
anime dannate da quel inferno salirete ,
l’anima vostra ne sia degna e sana ;
confessatevi dunque ,
pentitevi e vedrete luce .
Continuai il mio vagare tra le fiamme
 
la mia strada ,a seguire l’unica figura ,
vagavo per raggiungere la meta ,
ove tu anima mia mi hai tradito ,
 
lì per troppi anni mi son perduto .
Ora tra le tenebre conosco l’eterno pianto ,
la menzogna è del mal voluto .
Oh dolce musa ch’è m’ispiri ,
 
il mio canto a te dono
lo spirito mio ne va fiero .
Spesso pecco di gratitudine
 
l’estro del canto mi fu dato ,
i suoni mi furono concessi ;
 
forse per amare il mio me stesso .
E scrivo ancora per amore
 
un poema senza fine ,
Per la divina donna mi chiamò e fui reale.
Di comandar io la rinchiusi
in un solo canto l’ammirai .
… e ancora: Dante mi ispira !
Donna , che sia giudizio lassù infrange
l’amore mio per te resta evanescente ,
tale mi faccio di virtù , il tanto ardire vesto
ch’io a te parlai come persona franca e desta .
 
Ricordai di me e andai in un tempo ancora vivo
a chi mai leggerà questo presentimento lesto :
al povero illuso che odia e ama ,

l’anima mia non ne può fare a meno …
No , non sono io il giudicante , il giustiziere !
Non spetta a me dare sentenza vana ,
quello che ho avuto 
 
è il mio disprezzo e a null’altro beo.
Ora la perla nera nella cassaforte giace ,
 
la sua chiave l’ho gettata via ,
si prostrino a me i veri buoni
ed io riaprirò ancora fiumi …
Ma nella reale supponenza
 
la volgarità è degli immondi ,
purgano destini di infusi rari ;
 
su fogli di carta sputano veleni .
Questa è la sofferenza
 
ove le anime si sentono smarrite ,
vanno nel simposio dei commedianti ;
dove l’amore trova il suo scopo.
Canto quarto
Pienezza
Il Seminatore di discordia .

E fu fraudolento il suo credo
Barattò il paradiso con l’inferno ,
Con la sua anima indossò tormento ;
Della sua discordia ne fa trionfo .
Furono i suoi vizzi ,i più profondi :
La carnalità gli diete vanto ,
S’abbuffò e soddisfò i mal pensanti ;
Egli era avaro della sua stessa ira .
Col prossimo fece il prepotente
Affila le sue lame con i denti ,
Tra i seduttori e gente lusinghiera
La sua ignominia gli dà lussuria .
Di bestialità ammanta l’attrattiva .
Furono vizzi le fisiche azioni
Volgono l’abuso all’attributo ,
Contro il volere il rifiuto ;
La sua patria è una terra infame .
Fu il seminatore della discordia !
Vive e regna tra tutti noi ,
Spande gramigna e olezzi impuri ;
Sul prato delle vergini va a dormire .
Ma dande disse :
Vedi la bestia ,per cui mi volsi ,
Difendermi da lei famoso saggio ;
Ch’ella mi fa tremar le vene .
E fu l’inferno sulla terra !
Nei cuori maltrattati nacquero innocenti ,
Su la gogna tra i cantori ,
i poeti del duemila .
In ampi spazi furono riconosciuti
In’un’epoca che abbraccia il mare ,
Sorge il nuovo tempo ,la beltà e nuovi elogi;
I narranti della nuova specie.

Ma dante ribadì il vero:

E poiché la sua mano ,la mia prese ,
Con lieto volto ond’io mi confortavo ;
Mi mise dentro alle segrete cose .
Disse che tanto è amor ,
Che poco è più morte ,
Ma per trattar del ben ch’io vi trovai
D’altre cose dirò ch’io v’ho scorte .
E come Dante canto il mio sentire :
Canto il mio inferno dell’amore ,
Un’espressione logica degli umani ;
Canto l’altrui sdegno ch’è m’ha ferito
D’amore m’ha reso schiavo .
E il mio vagar continua ,mai si ferma!
Va oltre il mio intelletto crudo,
E nei conforti di colui che fu vate ;
Io l’irrisorio mi prostro e mi riduco.
Seppur io l’apprendista ,banditore di inerzia!
Con la mia preponderanza vado ,
Con una marcia lenta ;
Ogni vocabolo arricco .
S’on’io il folle e mi metto in evidenza ,
La lirica mi commuove,mi dà apparenza
Una presunzione illogica .
E nel liquame la miseria spande !
Ogni giorno abbonda ,
A macchia d’olio tra le menti ;
In ciance e lagne si manifesta sulla scena.
E salgo sul colle ,il più alto tra le nuvole !
Salgo su ,tra i confini dell’amore ,
Tra il vero e il profano ;
Ove gli opposti danno prova di saggezza .
Scruto la sorgente d’ogni fonte
Ove ogni gioia, delirio ottiene:
Di musica interiore suona .
Salgo l’ultimo gradino ,
È il massimo del mio essere poeta ,
Sempre più su , tra l’immenso scrivo;
Tra coloro che nella sua dimora sanno meditare .

Poetanarratore .

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